La storiografia ha considerato come uno degli elementi più evidenti della continuità cittadina nell’età altomedievale la persistenza di un’attività commerciale che consentisse il minuto ed economicamente modesto scambio quotidiano di merci e derrate di prima necessità e che si manifestava con l’esistenza di mercati[1].
Nel X secolo è testimoniato a Parma l’uso di tenere il mercato nella zona nord-occidentale intramurana. Essa era occupata da un vasto insediamento religioso costituito dai due monasteri femminili di San Bartolomeo e Sant’Alessandro[2], i quali appartennero originariamente alla vedova di re Bernardo ed ai suoi familiari. Come notoriamente avvenne entro la maggior parte dei monasteri dopo la diffusione della regola benedettina, anche in quelli di Sant’Alessandro e San Bartolomeo l’attività non dovette rimanere limitata alla preghiera o alle opere strettamente spirituali. I beni ad essi pertinenti infatti, già dalla prima metà del secolo X[3], costituivano una curtis, per cui si deve dedurre che agli edifici di culto ne erano annessi altri nei quali si svolgeva un’attività produttiva, che deve aver attratto in quei luoghi un certo movimento di scambi, facilitato dalla favorevole ubicazione del complesso religioso. Infatti il pons lapidis (il ponte più battuto per il superamento del torrente[4]) era poco più a sud di San Bartolomeo, e la via per Colorno (dove già all’inizio dell’VIII secolo è documentata l’esistenza del portus Parmisianus[5]) percorreva tutto il lato orientale delle pertinenze dei due monasteri. Questa strada era, già in età romana, una delle principali della città[6]. L’importanza del complesso monastico come centro di scambi può trovare conferma in una donazione fatta da re Lotario a Mainfredo comiti dilectoque nostro fideli[7]. Oltre a molti beni situati nel territorio parmigiano ed in quello di altre città il re donava al conte una cortem in Parma civitate cum duobus monasteriis ibidem hedificatis uno in honore Sancti Bartholomei, altero sancte Mariae et Sancti Alexandri cum mercatis et eorum omnibus pertinentis[8].
La testimonianza dell’esistenza di quei mercati resta notevole, anche se nell’età carolingia numerosi furono i centri di scambio in ogni civitas e nel territorio[9], com’è del resto ripetutamente attestato, ma anche presumibile, dal momento che, nella penisola italiana almeno, il commercio ed il traffico di media e lunga distanza non vennero mai completamente meno, specie nelle città già romane e romanizzate, ove inoltre persisteva una sia pur modesta produzione artigianale[10].
Con l’espansione economica del X secolo e con il conseguente sviluppo del commercio su distanze ben maggiori che nel passato si venne generalmente delineando e determinando una duplicazione dei mercati; nei più antichi di essi, che spesso esistono dall’alto medioevo[11] (se non da epoca più remota), la convergenza dei traffici è piuttosto limitata, mentre è assai vasta ed in continua espansione in quelli più recenti.
L’analisi e la distinzione dei mercati urbani e suburbani sono ormai acquisite e consolidate nella dottrina storica, sia economica che giuridica, cosicché è possibile far riferimento alle conclusioni di essa. Sappiamo quindi che ad un «mercato vicinale», che si limitava per lo più a merci vili o necessarie ed aveva una cadenza settimanale[12], si contrapponeva la «fiera », che aveva luogo in occasione delle maggiori feste religiose di ogni città e che richiamava i mercatores di merci rare, preziose o di lontana importazione[13]. Il minor mercato settimanale, che mantenne in genere la denominazione romana di forum, si svolgeva all’interno della città murata, mentre la seconda, indicata con il nome di nundinae, era tenuta in genere al di fuori delle mura[14].
Anche a Parma ebbe 1uogo un mercato nella zona centrale, all’intersezione del cardine con il decumano. L’esistenza di esso è documentata sin dall’inizio del secolo XI; nella conferma dei beni del monastero di San Paolo fatta dal vescovo Sigefredo II sono infatti ricordati, fra l’altro, due mansi: de terra Sancti Petri apostoli que est constructa ad honorem ipsius prope forum ubi mercationes sine cessatione agebitur[15]. Nessun dubbio esiste circa il luogo ove avvenivano tali mercationes sine cessatione: la chiesa di San Pietro è tuttora esistente nel suo antico sito (sia pure col fronte capovolto dopo il rifacimento settecentesco del Petitot)[16]; il toponimo forum, inoltre, se da un lato può essere interpretato semplicemente come «luogo di mercato»[17], dall’altro può tramandare memoria dell’antico foro della città romana ove, come in altre città, poteva essersi affermata la consuetudine di tenere mercato.
Ben si spiegherebbe in tal caso come, anche a Parma, il termine forum continuasse nel medioevo ad indicare tanto la piazza centrale quanto il luogo ed il modo della normale esibizione delle merci e derrate più usuali[18]. Questo mercato, secondo la carta menzionata, veniva tenuto sine cessatione, cioè con continuità, senza lunghi intervalli o a cadenza irregolare[19]. Si tratterebbe quindi del tipico «mercato vicinale» per l’approvvigionamento della città e per la fornitura alla campagna dei manufatti e degli utensili necessari.
A Parma nel medioevo aveva luogo anche un’importante fiera annuale, detta di Sant’Ercolano, che si svolgeva per quattro giorni a partire dal primo giovedì di settembre. La sua sede usuale si trovava al di fuori delle mura e le fonti toponomastiche e narrative[20] indicano che essa era a nord della civitas, presso la strada per Colorno, nell’area del Prato regio, almeno fino al secolo XIII, quando un capitolo degli statuti dell’anno 1227 stabiliva che teneatur facere fieri Feram sancti Herculiani in glarea Parmae a ponte lapidum inusum, a sero muro fovee civitatis, ita quod draparia et aliae mercimoniae ibi collocentur[21].
La fiera era tenuta quindi ancora fuori delle mura, ma più vicino al centro commerciale della città, nelle vicinanze degli antichi mercati di San Bartolomeo e Sant’Alessandro, nell’area creata dallo spostamento del torrente a causa della piena della seconda metà del XII secolo[22].
Tuttavia, un secolo ed oltre più tardi, l’allora duca di Parma Bernabò Visconti proibiva di tenere un grosso mercato fuori di porta Sa Barnaba solito farsi il quinto di Settembre, il giorno di S. Hercoliano …[23], da cui si deduce, se la notizia è esatta, o che le precedenti disposizioni comunali erano state disattese, oppure che il trasferimento riguardava solo una parte delle mercanzie (draparia et aliae mercimoniae), mentre una parte della fiera permaneva nell’area dell’antico Prato regio, fuori della porta di San Barnaba che si apriva nelle mura duecentesche. I primi documenti che menzionano l’uso di tenere la fiera di Sant’Ercolano non permettono di risalire oltre la prima metà del secolo XII[24], ma non sarebbe tuttavia completamente ingiustificato pensare che essa risalga, con altre analoghe[25] ad epoca anteriore.
Se il mercato usuale era quello di San Pietro, cioè il forum, e se la fiera era quella di Sant’Ercolano che aveva il carattere di nundinae, qual era la natura e quale la funzione dei mercati di San Bartolomeo e Sant’Alessandro? È probabile che con la riorganizzazione della proprietà monastica, avvenuta fra l’VIII ed il IX secolo, e con il conseguente incremento della produzione, anche i monasteri parmensi abbiano cercato di assicurarsi l’esitazione delle derrate e dei manufatti che le loro terre ed i loro uomini rendevano eccedenti. È ben vero che dapprima tali mercati erano tenuti nel territorio rurale, ma in seguito, proprio per l’abbondanza delle merci di cui i monasteri si trovavano a disporre, si preferisce tenere mercato in quei luoghi dove maggiore è la domanda e, quindi, all’interno delle città, le quali non hanno ancora la capacità di proteggere i loro fora.
Poiché i monasteri di Sant’Alessandro e San Bartolomeo sono già molto ricchi nel secolo IX[26] e poiché per il secolo seguente si ha sicura memoria di scambi usuali presso tali monasteri[27], si può pensare che, oltre al mercato vicinale di San Pietro (forum), esistesse a Parma almeno un altro mercato, che si potrebbe ugualmente definire «vicinale» o, secondo il termine usato dal Carli, «mercato dell’abate»[28]. Nei secoli successivi, mentre si mantiene vivo l’uso del mercato presso San Pietro, che trova una minuziosa disciplina negli statuti[29], non si trova più notizia del mercati di San Bartolomeo e Sant’Alessandro.
[1] Max Weber ritiene che uno del caratteri fondamentali della città sia «l’esistenza di uno scambio regolare e non solo occasionale di merci sul luogo dell’insediamento … cioè l’esistenza di un mercato» (M. Weber, La città, Milano, 1979, p. 4).
[2] U. Benassi, Codice diplomatico parmense, Parma, 1910. II, pp. 101-106, a. 835.
[3] G. Drei, Le carte degli archivi parmensi dei secoli X-XI, Parma, 1928, I, doc. LV, p. 716, a. 948.
[4] Degli altri due ponti (di Galeria e di domina Egidia) siti rispettivamente a nord e a sud del pons lapidis, e lignei fino al sec. XIII, non si sa con precisione l’epoca di costruzione.
Il pons de Galeria, secondo una tradizione non confortata da alcuna conferma, risalirebbe ai tempi dell’imperatore Galerio (sec. IV). Il ponte di domina Egidia è ricordato solo in piena età medievale. Le fonti dei secoli IX e X sono silenziose nei loro riguardi (M. Corradi Cervi, I ponti di «Domina Egidia» e di «Galeria» sul torrente Parma, in “Aurea Parma”, 49 (1965), pp. 103-108). Il quarto ponte medievale di Parma, detto dei Salarii, è menzionato per la prima volta in: un capitolo degli Statuti dell’anno 1259 (Statuta, cit., I, p. 86).
[5] 74 Il porto qui appellatur Parmisiano è nominato nella concessione di privilegi di Liutprando a Comacchio del l0 maggio 715. Il documento, pubblicato da L.M. Hartmann (Zur Wirtschaftsgeschichte Italiens im friihen Mittelalter, Gotha, 1904, pp. 123-124), è riprodotto nello studio di G. Fasoli, Navigazione fluviale. Porti e navi sul Po, in La navigazione mediterranea nell’alto medio evo, Atti XXV settimana di studio, Spoleto, 1978, II, pp. 606-607; sempre sulla navigazione padana nell’alto Medioevo: C. Violante, La società milanese nell’età precomunale, Bari, 1974, pp. 3-10. Due documenti del secolo XI ricordano ancora un porto Capitis Parmae (Drei, Il, doc. CLXV, pp. 367-368, a. 1097): esso è in mano alla chiesa parmense la quale lo concede a livello.
[6] V., nella Carta dei ritrovamenti romani nella città di Parma (Museo Archeologico Nazionale Parma), le numerose tracce di selciato romano lungo la parte meridionale dell’odierna via Garibaldi.
[7] Il conte Mainfredo è il primo esponente della seconda dinastia comitale di Parma, denominata Bernardinga in quanto discendente da Bernardo re d’Italia (S. Pivano, op. cit., pp. 512-516). I monasteri di San Bartolomeo e Sant’Alessandro, con le loro pertinenze, tra cui, appunto, i mercati, restarono nei secoli IX e X in mano a questa famiglia dell’alta aristocrazia imperiale.
[8] Drei, I, doc. LV, p. 176, a. 948.
[9] Alla fine del IX e del X secolo numerosi sono i diritti di mercato concessi dai sovrani alle città: E. Duprè Theseider, Problemi della città …, cit., p. 32.
[10] Oggi non da molti storici è condivisa le tesi esposta dal Pirenne negli anni ’30, secondo cui proprio in questo periodo la vita urbana in occidente raggiungeva il punto massimo di decadenza a causa della chiusura ai traffici del Mediterraneo in seguito all’espansione araba: H. Pirenne, Le città del medioevo, Bari 1971; Id, Maometto e Carlomagno, Bari, 1939. Sullo stato attuale del dibattito circa le teorie del Pirenne vedasi la premessa di O. Capitani all’edizione citata de Le città del medioevo.
[11] Sui mercati in età medioevale in generale: C. Verlinden, Mercati e fiere, in Storia economica Cambridge, cit., pp. 137 ss.
[12] G. Mengozzi, La città italiana nell’alto medio Evo, Firenze, 1931, pp. 224-243; il Violante (op. cit., pp. 19 ss.) analizza la contrapposizione tra mercato curtense e mercato cittadino.
[13] Per motivi pratici si preferiva accentrare nello stesso giorno i doveri del culto e le necessità degli scambi. Nonostante i ripetuti divieti di Carlo Magno, tendenti a proibire ogni attività commerciale nei giorni delle festività religiose, questo uso si mantenne proprio per la sua convenienza pratica, in specie per la popolazione del contado.
[14] In età classica esisteva una ulteriore distinzione tra «mercato al minuto» (macellum), «mercato all’ingrosso» (forum) e «mercato tenuto a lunghi intervalli» (nundinae): Carli, op. cit., p. 13.
[15] Drei, II, doc. VIII, p. 21: il documento, privo dei dati cronici, è datato dal Drei tra il 1005 ed il 1015.
[16] E. Guerra, A. Ghidiglia Quintavalle, La chiesa di San Pietro Apostolo, in Parma nella storia e nell’arte, Parma, 1948, pp. 10-30.
[17] Sul significato del termine forum nel medioevo: G. Battisti. La terminologia urbana nel latino dell’alto medio evo con particolare riguardo all’Italia, in La città dell’alto medio evo, cit., pp. 649-651; G. B. Pellegrini, Attraverso la toponomastica urbana medioevale in Italia, in Topografia urbana …, cit., p. 426. Sull’uso dello stesso termine in età romana: F. Castagnoli, Topografia e urbanistica in Roma antica, Bologna, 1969, p. 63.
[18] G. Mengozzi, La città italiana nell’alto medio Evo, Firenze, 1931, p. 236, n. 3.
[19] Lo Schumann interpreta sine cessatione nel senso di «mercato giornaliero» e teorizza una successione cronologica tra i mercati feudali di San Bartolomeo e Sant’Alessandro che sarebbero poi sostituiti da un mercato giornaliero in piazza San Pietro (Schumann, Authority and the Commune. Parma 833-1133, Parma, 1973, p. 192).
[20] La denominazione data al monastero di San Francesco del Prato ricorda la primitiva ubicazione del Prato di Sant’Ercolano (o Prato Regio); già il Salimbene ricorda: Item eodem millesimo fratres Minores de Parma fecerunt pulcrum refectorium in Prato Sancti Herculani, ubi habitant et ubi antiquitus Parmenses nundinae faciebant… (ad a. 1283, Salimbene De Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari, 1966, I, p. 759).
[21] Statuta, Communis Parmae, Parma, 1856., I, p. 60 (a. 1227).
[22] Ancor oggi il mercato giornaliero e quella settimanale sono tenuti nella piazza «della Ghiaia», approssimativamente nell’area dell’antica Glarea nominata dagli statuti.
[23] B. Angeli, La historia della città di Parma et la descrittione del Fiume Parma, Parma, 1591, p. 194 (ad a. 1365).
[24] In una carta dell’anno 1173 Guilbertus de Prospera testimonia che da XL annos et plus vidit curaturam mercati S. Erculiani colligi per canonicos S. Marie et per episcopum (Drei, III, doc. 436, p. 351, a. 1173): si risale, così, alla prima metà del XII secolo.
[25] Sulle fiere medievali in generale: R. de Roover, L’organizzazione del commercio, in Storia economica Cambridge, cit., pp. 48-49.
[26] Benassi, doc. II, pp. 101-106, a. 833.
[27] Drei, I, doc. LV, pp. 175-178, a. 948.
[28] Carli, op. cit., pp. 277-309.
[29] Negli statuti numerosi capitoli sono dedicati alla disciplina del mercato della piazza detta «del Comune »: essi prescrivono ad esempio, quid sit statutum in vendentes fruges, herbas et panem in platea Communis, et de porris ibi non vendendi; oppure Quid statutum sit contra ementes pullos et ova et alique sunt in Statuto, ante nonam, et ubi revenditores stare debeant, e ancora De revenditoribus non standi sub porticu sancti Petri et de pena contrafacientis (Statuta cit. I, pp.343-344, a. 1255). Altre disposizioni si susseguono nei capitoli degli anni successivi a dimostrare il persistere della validità commerciale dell’antico foro.