Alla Spezieria si accede, oggi, da una piccola anonima porta sita sul fronte occidentale del Monastero di San Giovanni: una lunga severa muraglia, appena interrotta da finestre e da un voltone, che immette in un’ampia corte, pesantemente trasformata, adiacente e parte di quel complesso di edifici e aree ove erano collocati i servizi “rustici” complementari ed essenziali alla vita articolata del cenobio. Nonostante dai documenti si rilevi che in antico i locali destinati alla Spezieria erano otto, di diverse e rimarchevoli dimensioni, direttamente collegati ai sotterranei mediante una scala a rampa unica, poi tamponata, che sbucava nel contenuto vano d’ingresso, oggi ne restano, pienamente arredati, solo quattro. Essi prendono il nome dalla specificità dei contenuti o dagli elementi decorativi emergenti: Sala del Fuoco o del Camino, Sala del Pozzo o degli Alambicchi, Sala dei Mortai e Sala delle Sirene, ciascuna delle quali presenta caratteristiche assai diverse, nonostante l’unitarietà con cui si percepisce subito lo spazio.
Di particolare importanza – per la simmetria e affinità stilistica che legano tutti gli ambienti contigui alla Spezieria e, di conseguenza, all’estensione interpretativa che si può dare alle rare notizie che ci permangono, oltreché per ipotizzabile successione delle logiche fasi costruttive – sono i due rogiti dell’Archivio Notarile di Parma risalenti al 28 gennaio 1525 (notaio Giovanni Balestra) e al 28 agosto dello stesso anno (notaio Gaspare Bernuzzi), di cui riporta traccia padre Ireneo Affò. In essi compare l’impegno di Bernardino e Gian Francesco Zaccagni, padre e figlio, entrambi architetti, “per costruire la infras.ta parte di Monastero […] a seconda del disegno dato […] quale è contigua al claustro grande verso l’occidente et ha principio alla crociera verso austro et va continuando a settentrione per longhezza braccia 118 con il suo andito di sotto br. 5 et le camere verso occidente di larghezza e longhezza br. 10 con lo andito di sopra br. 8,1/2 con le celle di lunghezza e larghezza br. 7 et altro”. Si fa riferimento poi a una serie di patti inseriti e allegati e all’obbligo che uno dei due architetti fosse sempre presente sul cantiere. Le annotazioni riportate e i pagamenti successivi rintracciati per il 5 agosto e il 15 settembre 1525 fanno propendere per una paternità progettuale degli stessi Zaccagni e per una estensione dei lavori nell’asse est-ovest, che risulta ortogonale a quello “occidentale” suddetto, le cui sale presentano tipologia e dimensioni similari a quelle destinate a ospitare la Spezieria, completate, presumibilmente, nel corso del terzo decennio del Cinquecento. Non mancano trasformazioni e lavori che si susseguono nel corso dei secoli.
Questi brevi riferimenti risultano utili per elaborare una possibile datazione delle pitture murali ancora esistenti e recentemente recuperate. Anche l’accesso è stato mutato nel corso del secolo XVIII a seconda della funzione pubblica o esclusivamente interna al Monastero o mista, cui la Spezieria rispondeva. Fino all’inizio del secolo XVIII l’ingresso non era sul fronte strada ma introverso al Monastero, come dimostra, nell’ultima sala sul lato destro, l’apertura in parte murata e occlusa da una possente grata in ferro battuto con relativo sportello, dal quale venivano consegnati i medicamenti, e soppressa dal Du Tillot, come afferma il Bussoni nel libro sull’Abbazia benedettina. Il riscontro è determinato anche dall’ampia decorazione tardo-barocca, visibile nel corridoio laterale adiacente i locali della Spezieria, recante la data 1748 e l’iscrizione Aegrae Mortalitati Amarum et dulce levamen che segnala l’antico accesso; pur trattandosi di ambienti strettamente connessi all’articolato e imponente Monastero Benedettino, oggi la Spezieria si pone come struttura museale autonoma, anche se è perfettamente leggibile e percepibile il suo stretto legame architettonico e decorativo con l’insediamento che lo attornia e dalla cui Regola prende origine. Considerando l’ingresso nella Congregazione di Santa Giustina (1477), per lettera apostolica di papa Sisto IV, che sottrae il Monastero al pesante giogo della “Commenda” e che aveva permesso ai Benedettini di disporre di ingenti ricchezze, si comprenderà il rinnovamento architettonico e artistico intrapreso nel corso dei secoli XVI-XVII. Rispondono, infatti, ai caratteri precipui rintracciabili in tante altre parti del Monastero le dimensioni delle sale e la tipologia delle volte, le decorazioni e i simboli giovannei disseminati negli arredi e nelle pitture murali, oltreché i collegamenti tamponati che immettevano nell’adiacente solenne chiostro della Porta nonché nella “corte rustica”; da ciò si desume la forte volontà costruttiva dei Benedettini, l’abilità progettuale ed esecutiva delle maestranze attivate, la varietà degli schemi architettonici proposti, la ricchezza artistica ancora tangibile nonostante le numerosissime testimonianze d’arte scomparse, che dimostrano la specifica e sostanziale caratterizzazione e importanza nella struttura urbana dell’insediamento benedettino.