L’antica Arte dei Beccaj – La locanda Sant’Ambrogio

Author: Giancarlo Gonizzi

Il grande edificio di epoca medievale dai muri in cotto all’angolo fra via Repubblica e borgo Sant’Ambrogio, oggi noto come Palazzo Fainardi, caratterizzato dalle torri angolari e dalle finestre ad arco, era stato per secoli il Palazzo dei Beccaj dove si aprivano tutte le macellerie cittadine.

Quella dei Beccaj era una delle quattro Arti Maggiori in cui era suddivisa la “Società dei Mercanti”[1] che ebbe grande influenza nell’amministrazione del Comune in epoca medievale.

Estremamente numerose sono le disposizioni, anche in ordine di sanità e igiene pubblica che la riguardano citate negli Statuti Municipali: ai Beccaj era demandato macellare e vendere le carni bovine, suine, di capra e di pecora; ogni beccaio doveva considerare come sacro il non vendere carne di animali malati o infetti e doveva consentire il controllo settimanale della bottega da parte degli incaricati del Console. Lo statuto dei Beccaj, uno dei più importanti, anche se si tratta di una copia, risale al 1309 e fu confermato nel 1448 dal Podestà.

Per la festa della Madonna in Agosto tutti i beccai – ed era considerato un privilegio – venivano subito dietro il Podestà nella processione verso la Cattedrale. Era proibito vendere al pubblico e privatamente nei giorni festivi. Le carni non potevano essere macellate e vendute nella stessa giornata. Coloro che avevano banchi o botteghe nei luoghi pubblici non potevano affittarle se non ad altri iscritti all’Arte ed era vietato associarsi con i propri garzoni. Il Podestà, che durava in carica un anno e percepiva un rimborso di 6 libbre parmensi, veniva scelto da sei elettori nominati da tutti i membri dell’Arte. Questi dovevano essere tutti registrati in «uno libro grosso» a cura del Podestà, che doveva altresì tenere un secondo libro con i nomi di tutti coloro che erano al servizio della Corporazione ed un terzo con i nomi dei proprietari delle beccherie.

Per consentire la fortificazione della Piazza Grande[2] dove erano situate le beccherie, nel 1347 vennero spostate presso la chiesa di San Giorgio (zona di Piazza Cesare Battisti), ove si trovava anche il Palazzo dei Beccai. Le beccherie erano, allora, tutte di proprietà comunale e venivano affittate periodicamente; nel 1478, quando fu rinnovato il contratto se ne contavano quindici: dodici prossime alla piazza e tre in Capo di Ponte (Oltretorrente).

Il 4 febbraio 1545 veniva emanata una grida per il risarcimento dei danni ai proprietari delle case distrutte per la costruzione delle nuove Beccherie della città. Numerose altre grida preciseranno di volta in volta i comportamenti e le attenzioni richieste ai macellai. Nel 1707 l’Arte veniva riformata ed un nuovo Statuto veniva approvato.

L’Arte era governata da un Anziano, un Sindaco ed un Massaro. Nessuno poteva esercitare l’attività fuori del “Vaso Grande” della Beccheria. In Quaresima doveva essere tenuta aperta una sola bottega, stabilita con un’asta, e l’importo ricavato doveva essere destinato alla cassa dell’Arte. Le domande di iscrizione dovevano essere presentate dal primo giorno di Quaresima al Lunedì Santo. Per evitare «sussurri e discordie» i Tripparoli dovevano fermarsi nelle Beccherie per il tempo strettamente necessario al ritiro delle interiora[3].

Dopo lo spostamento della macellerie, il Palazzo dei Beccai accolse il tribunale e la prigione e prese il nome di Palazzo del Criminale.

La Locanda Sant’Ambrogio, con le ricche finestre quattrocentesche dalle cornici in cotto[4] è di antiche origini medievali, e viene citato in un rogito del 1520: «Hospitium sub signo Sancti Ambroxii… in civitate Parmae»[5].

Tale ospizio, trasformato poi in locanda ed omonimo albergo[6], è rimasto attivo fino alla fine dell’Ottocento[7] e quindi, convertito in ristorante, fino agli anni Ottanta del Novecento. L’interno era caratterizzato da un grande camino in pietra e dai numerosi archi e conservava, con le antiche strutture di origine medievale, il fascino del tempo. Proprio dal nome dell’albergo avrebbe poi tratto il nome il borgo ove l’esercizio era ubicato[8].

L’ultimo gestore fu Gianfranco Gandini, subentrato a Cesare Lottici, che lo amministrò dal 1964 al 1981. L’immobile, un tempo di proprietà di Pepén Clerici, era stato acquistato il 28 luglio 1977 dalla Banca Emiliana, per le impellenti esigenze di spazi della propria attività. Così il 15 luglio 1981 – non ostante alcuni tentativi di deroga – l’antichissima locanda aveva definitivamente chiuso i battenti[9]. Il ristorante, trasferitosi in Borgo Torrigiani, nei pressi del Tribunale, ha proseguito l’antica tradizione gastronomica in altri ambienti e oggi ha cambiato definitivamente nome.

[1] La Società dei Mercanti raggiunse la sua completa organizzazione statutaria verso la fine del periodo consolare del Comune di Parma, nel 1179 ed era organizzata in una struttura gerarchica con al vertice la “Mercanzia” ed alla base le Arti, «Ministeria subiecta Mercadancia». Le Arti, subordinate ed aggregate alla Mercanzia si distinsero nel tempo in Arti Maggiori (che nel periodo podestarile del Comune erano quattro: Beccai, Fabbri Ferrai, Pellicciai e Sellai, Callegari), Arti Mediane (che nel periodo podestarile del comune furono undici: tra di esse, preminente, la Corporazione dei Sarti), ed infine in Arti Minori (nove all’inizio della Signoria di Giberto da Gente, tredici alla presa del potere della Società dei Crociati, o parte Guelfa). Una tale suddivisione aveva, peraltro, non pochi risvolti di tipo politico. Le Arti si erano infatti andate differenziando grazie al loro peso economico, creando così una sorta di frattura fra chi esercitava una vera e propria attività mercantile o artigianale di alto livello (banchieri, pellicciai, fabbri, commercianti di lana e di lino, beccai) ed il popolo minuto dei piccoli artigiani. Tale differenziazione si accentuerà sempre più col tempo, dando il via ad una precisa divisione di ruoli fra commercianti ed artigiani (COMUNE DI PARMA, Parma e il suo Comune, Parma, Step, 1989, p. 50).

[2] Proprio in Piazza Grande si trovava la chiesa dell’Arte, la Chiesa di San Pietro, ove veniva solennemente celebrato il patrono San Rocco. Il sigillo dei Beccai riportava un Torello entro un ovale e la legenda: «+ S. COMUNITATIS BECARIORUM PARMAE».

[3] MICHELI G., Le corporazioni parmensi d’arti e mestieri, in “Archivio Storico per le province Parmensi”, 1896, pp. 41-47.

[4] Archivio di Stato, Parma, Raccolta Sanseverini, Vol. 1.

[5] Archivio Notarile, Parma, Rogito Giulio Banzi, 1520.

[6] GAMBARA L., PELLEGRI M., DE GRAZIA M., Palazzi e Casate di Parma. Parma, La Nazionale, 1971, pp. 110-111.

[7] PELIZZONI L., Albori e sviluppi dell’artigianato alimentare, in Arti e Mestieri a Parma. Parma, Step, 1987, pp. 154-158.

[8] SITTI G., Parma nel nome delle sue strade, Parma Fresching, 1929, p. 14.

[9] Sta per chiudere il Ristorante S. Ambrogio, in “Gazzetta di Parma”, 1981, 8 luglio, p. 5.