L’attività mercantile della Piazza Grande

Author: Giancarlo Gonizzi

Il palazzo comunale fu fino all’Ottocento il centro dell’economia cittadina e tutti i commerci avvenivano nelle vicinanze: grano, verdure, farine, pesce, carni, sale, legna e carbone trovavano spazio nel mercato della piazza del Comune dove nel Medioevo si aprivano i portici del Palazzo dei Mercanti che sorge proprio di fronte alla via d’accesso alla città da sud, verso la Liguria che era uno dei più antichi collegamenti mercantili, e quelli del Grano ancora oggi visibili. I mercati del bestiame e dei commestibili si svolgevano invece poco distante, nella Piazza della Ghiaia. Nel corso dei secoli, pur con interruzioni dovute a cause naturali, politiche o militari, Piazza Grande sarà sede privilegiata del mercato settimanale entro le mura della città.

La vocazione commerciale della platea, risale all’epoca romana – e probabilmente prima ancora nel tempo – quando il Forum era il cuore della vita politica e religiosa e qui si svolgevano gli scambi commerciali della città e delle zone circostanti. Aveva forma quadrangolare (45×50 metri) e si apriva sul tracciato della via Emilia, spostato a Sud, rispetto all’attuale. Questo spazio di incontro per gli scambi commerciali, doveva essere molto frequentato, in epoca imperiale, dai commercianti di lana, essendo la zona particolarmente nota e stimata per l’abbondante e qualificata produzione ovina.

Nel XII secolo, con la ripresa dell’economia cittadina dopo il periodo delle invasioni barbariche e la conquista dell’autonomia amministrativa, il Comune acquistava l’area della piazza e le case che la circoscrivevano a Sud-Est e dava inizio a una vasta iniziativa edificatoria, protrattasi nel tempo, finalizzata alla costruzione di diversi edifici per la pubblica amministrazione e di servizio alla comunità[1] con l’erezione dei Palazzi del Torello, del Podestà, del Capitano e della Torre civica che ridussero l’area della Platea. Poiché era certamente insufficiente ai bisogni sociali e mercantili del momento, venne presa una decisione di importante valore urbanistico che ne comportò l’ampliamento, con piena salvaguardia degli edifici sunnominati, nell’unico lato che poteva venire interessato: quello a Nord, tutto di privati e senza alcun edificio religioso o di pregio[2]. Così, con l’abbattimento di alcune case acquistate dal Comune, la piazza si espanse per diverse decine di metri. Solo una parte di esse venne ricostruita, in arretrato, mostrando, come scrive lo storico Ireneo Affò, «una gran casa merlata e dipinta con botteghe pe’ mercanti nel luogo stesso ove vediamo (1795) il Palazzo detto del Governatore. Se ne conservò memoria in un pubblico marmo»[3]. Del carattere mercantile dell’edificio rimane ancora un vestigio nella “forma del mattone di Parma” scolpito ad incavo in una pietra e collocato nell’angolo Nord-Est. Ulteriori misure legate ai commerci dovevano trovarsi nei pressi della chiesa di San Pietro, mentre invece la dimensione della “pertica” – la misura lineare – venne indicata, e ancora vi si trova, nella facciata della Cattedrale, a sinistra del pronao[4].

Il mercato si teneva da tempo immemorabile il giorno di Sabato e per favorire l’evento cittadino, gli Statuti comunali proibivano a tutti gli abitanti del distretto di recarsi in quel giorno ad «alium forum nisi Parmae», ad altri mercati[5] e per questa ragione speciali guardie comandate dal Podestà dovevano sorvegliare le strade di confine.

Dopo il 1266 viene aumentata la frequenza del mercato e a quello del Sabato si aggiunge l’appuntamento del Mercoledì e ad ogni persona, cittadina e forestiera, viene concesso di trasportare merci d’ogni sorta e venderle a Parma all’ingrosso e al minuto per assicurare alla città la necessaria provvista di grano, di olio, di carbone e di stoffa[6].

Tali disposizioni, nuovamente riprese nello Statuto Comunale del 1494, erano dirette a rimuovere le difficoltà già insorte nel passato all’ingresso delle merci sul mercato cittadino e assicurare l’incolumità personale ai partecipanti. Lo stesso Statuto[7] determina il luogo per il mercato dei polli, delle pecore, delle oche, del formaggio, in quella parte di piazza – è detto – di recente allargata, cioè a Nord della Via Emilia.

Il mercato continuò a progredire, e planimetrie e vedute delle varie epoche, oggi conservate presso l’Archivio di Stato, attestano la vivacità commerciale e gli interventi normativi posti dall’Autorità ad assicurare il suo ordinato svolgimento. Nella pianta seicentesca dedicata dal compilatore Giulio Sensi al Duca Francesco Farnese, la platea è divisa dalle vie d’accesso in tre settori definiti da una griglia di 310 riquadri che segnano il “confine” della proprietà giornaliera dei vari espositori[8].

Nel 1760, al tempo dei Borbone e per espressa volontà del Primo Ministro Du Tillot, l’Architetto di corte Ennemond Alexandre Petitot (1727-1801), conferì alla piazza l’impianto che in buona parte tuttora conserva, volgendo la facciata della chiesa di San Pietro, fino ad allora orientata verso Ovest, uniformando le cortine murarie dei vari edifici e ripavimentando la platea a riquadri geometrici in cotto e pietra, delimitando le varie aree con file di paracarri di marmo.

La disposizione dei mercati, che si svolgevano tra il Palazzo del Comune, quello del Governatore e la chiesa di San Pietro era rigidamente fissata da norme e regolamenti emanati dall’Autorità comunale e lo spazio delle bancarelle era determinato per mezzo dei riquadri in cui era suddivisa la pavimentazione. Diverse sono le mappe e le planimetrie conservate nei nostri archivi che testimoniano nel tempo tale complessa consuetudine. Una di queste, di particolare interesse[9], è presumibilmente databile ai primi anni dell’Ottocento, durante il periodo della dominazione francese come si evince dalle annotazioni «Da essa si nota che nella parte della piazza davanti al Palazzo del Governatore “Ancien logement du Gouverneur” al centro della quale c’era l’Ara dell’Amicizia eretta nel 1769 in occasione della visita dell’Imperatore Giuseppe II, si trovavano i banchi coperti dei venditori di formaggi e burro (segnati col n. 1) e dei venditori di chincaglierie, mercerie e degli stagnini (segnati col n. 2). Tra l’Ara ed il palazzo si sistemavano i contadini con uova, pomodori, pollame, e più dietro i commercianti di canape e di stoffe di lino colorate; sulla destra vi erano i rivenditori di libri usati e di attrezzi agricoli in ferro; sulla sinistra gli ortolani con frutta, cipolle e meloni. […] Dietro a questi si trovavano i banchi dei rigattieri (segnati col n. 3) ed i mercanti di vecchie suppellettili, mentre nei giorni di magro arrivavano i rivenditori di pesce. Verso Via dei Genovesi, l’attuale Via Farini, si sistemavano, a seconda della stagione, venditori di carne di maiale o di libri usati»[10].

 

La vivacità del mercato di Piazza Grande è testimoniata da diverse opere pittoriche e letterarie come il noto dipinto di Giulio Carmignani (1813-1890) La Piazza Grande il giorno di mercato, 1850 ca.[11], dalla tela di Luigi Marchesi (1827-1862), La piazza di Parma[12], e da una vivace descrizione databile all’ultima decade del XIX secolo dovuta ad Emilio Casa, medico, letterato e storico liberale[13].

«La Piazza Grande era il cuore della città, più di quello che lo sia ora: essa costituiva il moto, la vita, il Forum rerum venalium, e il luogo in cui i cittadini, per tanti diversi motivi, s’incontrano. Vi era il mercato delle erbe, delle frutte, delle grascie [vettovaglie], della polleria; e nel Mercoledì e nel Sabato anche quello della granaglia. Tutto il piccolo commercio si faceva in piazza; la quale non aveva la precisa figura che ha presentemente.

  Nel quadrato detto di S. Pietro, esisteva un antico e ampio palazzo che il popolo appellava del Bondani, perché apparteneva alla famiglia del Conte Bondani. Intorno al 1857 gli edili credettero che le grosse colonne di marmo veronese che sostenevano il muro di facciata, trapiombassero alquanto e potessero, col tempo, esser cagione di un grave danno. Sorse, e si dibatté anche nei tribunali, la questione intorno al modo di provvedere, e finì per prevalere l’idea di sopprimere il portico e ritirare di quanto esso era profondo il muro della facciata. Così infatti avvenne. La piazza guadagnò per la simmetria e la riquadratura, ma vi perdette in severità architettonica, perché la facciata del Palazzo Bondani ricordava (comeché in modo disadorno) il vecchio stile lombardo….

  Nel compartimento a mane della piazza, (detto Quadrato delle armi) quello del quale forma un lato il palazzo comunale, si riunivano nei giorni di mercato i mercanti di campagna, i granaioli, e, in genere, la gente dedita al minuto commercio, e nell’attiguo, vasto e maestoso portico del Comune si vendevano le biade: in un angolo di esso stavano soldati a guardia, entro il basamento di quella torre che crollò nel 1606. …

  L’altro scompartimento della piazza, quello detto di S. Pietro presentava un altro aspetto. Vi stavano accampati i merciaioli coi loro banchi, o, per dir meglio, casotti coperti la cui prima fila seguiva la traversata che adduce alla Strada de’ Genovesi (ora Farini) e le altre tre o quattro file si susseguivano parallelamente verso la chiesa di San Pietro. Infatti sulla porta principale dell’antica chiesa di S. Pietro, eravi, sopra le imposte, la misura di controllo delle due braccia di tela, poi trasportata altrove.

  Queste bottegucce mobili, tappezzate di cotonine e di fazzoletti a colori vivissimi, messi in mostra con qualche appariscenza, e i piccoli velari bianchi tirati per difendere il merciaio dal sole, facevano bella rallegrante veduta. Aggiungevano vita al quadro il brulichìo de’ popolani e de’ contadini, e le offerte de’ merciaioli e i dialoghi de’ contrattanti, conditi spesso con frasi argute.Era anche piacevole vedere sul mezzodì i padroni di bottega imbandire alla presenza di tutti il loro modesto desinare, e gustarlo in mezzo a quel frastuono. Pareva di essere in una borgata del contado nel dì di fiera. Gli abitanti di quella piccola città di legno appartenevano alla classe minore dei negozianti: gente tranquilla, operosa, rispettosa per dovere, per abitudine e per tornaconto… .

  Dietro alle baracche, nello spazio che rimaneva libero sino alla chiesa di San Pietro e al portico Bondani, i pescivendoli tenevano mercato il Venerdì ed il sabato. Il pesce proveniva da Genova e da Chioggia per mezzo di trasporto accelerato, e arrivava freschissimo. …

  Il Bazar de’ merciaioli era utilissimo ai contadini che non s’arrischiavano d’entrare nelle botteghe più appariscenti; ma era un fastidio grave per quelli che abitavano le case sulla piazza o nelle vie vicine. I regolamenti comunali prescrivevano che la piazza dovesse essere in ogni sua parte interamente sgombera nei dì di festa: le baracche di legno dovevano scomparire il sabato notte per ricomparire il lunedì mattina; e così le due notti in cui si scomponeva e ricomponeva la città di legno, erano perdute pei vicini che avevano il sonno leggero. Un rumore indiavolato di cassoni tirati, di tavole che cascavano, di picchiamenti sgarbati coll’accompagnamento della voce de’ facchini che si chiamavano l’un l’altro senza riguardi e discrezione.

  Nell’Archivio del Comune si conserva un modellino dei banchi de’ merciaioli, e chi amasse di averne un’idea esatta, potrà andarlo a vedere; e vi è da scommettere che non gli verrà la voglia di farne fare di simili (Il modellino, risalente al 1875 ed impiegato quale esempio normativo per i commercianti, è tuttora conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Parma).

  L’altro grande rettangolo della Piazza, che nella sua lunghezza corrisponde ai due quadrati, di San Pietro e delle Armi, serviva allora da mercato delle erbe e ai rivenditori infimi di grascie e salumi.

  Era anche il campo aperto al burattinaio che vi portava la sua baracca, e ad un numero non piccolo di pezzenti, che si acculavano al muro del palazzo del Governatore, fra bottega e bottega, a godervi il sole quando si offriva e a pigliare qualche soldo dai passanti.

  A mezzodì tutto era scomparso: né banchi né ortolane, né burattini né carri e carretti: portato via ogni cosa e messo mano allo spazzamento, non restavano che i pezzenti, i quali facevano il comodaccio loro.

  Allorquando poi sopravveniva un temporale, era un fuggi fuggi generale con una confusione caotica e i merciai dovevano abbandonare, se non le armi, il bagaglio e le loro carabattole con una serqua di imprecazioni e di bestemmie contro il cielo irato. In cotal frangente, l’ampio portico del municipio ospitava paternamente i fuggiaschi e risuonava di un vocìo indescrivibile fino al cessare della bufera.

  Fra i tanti frequentatori della piazza, resi noti e quasi famosi, era il Signor Sante Ferrari, detto Santén, Donzello del Comune, banditore delle leggi, ultimo erede di un antico mestiere. Un uomo di mezzana statura, piuttosto grasso e grosso, colle gote rubiconde e l’espressione del volto tra il dottorale e il canzonatorio.

  Nell’esercizio della sue funzioni di banditore, il Signor Santino passava per una celebrità. Usciva sulla ringhiera della torre, solo; con aspetto severo ma così calmo da attirarsi la simpatia generale. Guardava la folla colla sicurezza con cui si guarda una vecchia conoscenza; deponeva il cappello sul davanzale della loggia e, imboccata la tromba, mandava due squilli che equivalevano ai raschi dei predicatori, prima di cominciare.

  Faceva le viste di guardare le carte per dar tempo al popolo di avvicinarsi; e quando vedeva, dall’alto al basso, ben fitta la gente nella platea, cominciava con voce alta e sonora. Leggeva lungamente, senza stancarsi, senza sbagliarsi mai, coll’armonia e le inflessioni di quelli che capiscono la sostanza dello scritto. Finita la lettura, ripiegava e intascava il testo della legge, si copriva il capo, e senza voltare le spalle all’auditorio scompariva, passando da un usciolino per lui un po’ angusto»[14]

Il mercato in piazza durò fino al 25 luglio 1813 anno in cui un decreto del Prefetto del Taro[15] stabilì che le botteghe mobili esistenti in Piazza Grande fossero trasportate nella Piazza della Steccata (i venditori di frutta e verdura da qui saranno nuovamente spostati in Piazza del Duomo e si concentreranno in Piazza Ghiaia solo dopo la costruzione delle Beccherie), di San Nicolò, di San Tiburzio, di Santa Apollonia e di Pescheria Vecchia, lasciando in Piazza Grande solo i cosiddetti “mercati volanti”. Nel 1851 la soppressione fu completa e i banchi sparsi vennero raccolti in piazza Ghiaia. Rimasero superstiti i banchi dei limoni. Ma anche questi col tempo sparirono definitivamente[16].

Il mercato del grano, si teneva invece sotto il Portico del Palazzo Comunale, denominato, proprio per questo, Portico del Grano ogni Mercoledì ed ogni Sabato. Solo il 23 luglio del 1861 era stato abbandonato il vecchio stajo e utilizzato come unità di misura il doppio decalitro, finché, nel 1909, il mercato non venne soppresso[17].

 

 

[1] CORRADI CERVI M., Evoluzione topografica della Piazza Grande di Parma dall’epoca romana alla fine del secolo XIII, in “Archivio Storico per le Province Parmensi, XIV, 1962, pp. 39-51.

[2] PELLEGRI M., Parma medievale, in Parma la città storica, Parma, Silva, 1978, p. 115.

[3] AFFò I., Storia di Parma, Parma, Ducale, 1793, IV, pp. 50, 63. Tale pietra esiste ancora in copia murata sul lato di via Cavour e in originale nei depositi della Galleria Nazionale.

[4] BANZOLA V., Le antiche misure parmigiane. Parma, La Nazionale, 1968, pp. 14-17; PELLEGRI M., Parma medievale, in Parma la città storica, Parma, Silva, 1978, p. 115.

[5] Statuta Communis Parmae digesta anno MCCLV. Parma, Fiaccadori, 1856, p. 330; MICHELI G., Le corporazioni parmensi d’arti e mestieri, in “Archivio Storico per le province Parmensi”, 1896, p. 13.

[6] Statuta Communis Parmae ab anno MCCLXVI ad annum circuiter MCCCIV. Parma, Fiaccadori, 1857, p. 68: «Capitulum quod bis in hebdomada cuiuslibet mensis, videlicet in die sabbati et in die mercurii, fiat mercatum in civitate Parmae, et omnes volentes possint venire ad vendendum cum rebus suis venalibus ad utrumque dictorum mercatorum, sicut veniunt et soliti sunt venire in die sabbati»; MICHELI G., Le corporazioni parmensi d’arti e mestieri, in “Archivio Storico per le province Parmensi”, 1896, p. 23.

[7] Statuta Communis Parmae ab anno MCCLXVI ad annum circiter MCCCIV. Parma, Fiaccadori, 1857, pp. 66-67.

[8] CAPELLI G., Botteghe di Parma tra Ottocento e Novecento, Parma, PPS, 1993, p. 49.

[9] ASPr, Mappe e Disegni, Vol I; Cfr. MENDOGNI P.P., Il mercato in Piazza Grande in “Gazzetta di Parma”, 1979, 27 gennaio, p. 3.

[10] MENDOGNI P.P., Il mercato in Piazza Grande in “Gazzetta di Parma”, 1979, 27 gennaio, p. 3.

[11] Parma, Collezione privata.

[12] Parma, Galleria Nazionale, Inv n. 991.

[13] Parte citata in MENDOGNI P.P., Il mercato in Piazza Grande in “Gazzetta di Parma”, 1979, 27 gennaio, p. 3 e ripresa in DALL’OLIO E., Sagre, mercati, fiere di Parma e provincia, Parma, Silva, 1979, pp. 88-97 e parte tratta da un manoscritto pubblicato col titolo: La vita privata a Parma nella prima metà delle’Ottocento, in Aurea Parma 10 (1926) pp. 213-227.

[14] CASA E., La vita privata a Parma nella prima metà delle’Ottocento, in “Aurea Parma” 10 (1926) pp. 213-227.

[15] Decreto 10.VII.1813

[16] SITTI G., Parma nel nome delle sue strade, Parma, Fresching, 1929, p. 8.

[17] Delibera Consiglio Comunale 18.XII.1909.