La Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma

Author: Maurizia Bonatti Bacchini
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Liberamente sintetizzato da Amedeo Bocchi e la Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio 1916-1976, a cura di U. Delsante e G. Gonizzi, in “Almanacco Parmigiano” 1994-95, Parma, PPS, 1994

In piazza Garibaldi si trova la sede della locale Cassa di Risparmio (oggi Cariparma – Crédit Agricole). Al suo interno due luoghi di grande fascino riportano il tema del cibo nel mondo dell’arte del XX secolo.

Primo fra questi è la sala del Consiglio dell’istituto bancario dove il pittore parmigiano Amedeo Bocchi (1883-1976) ha realizzato un ciclo pjttorico-decorativo, fra il 1915 ed il 1917, certamente esemplare della cultura Liberty in Italia, un capolavoro della poetica modernista intesa come concezione unitaria di un ambiente, perfetta fusione di arte e artigianato, di apparati decorativi e oggetti d’arredo; e dunque un insieme armonico ed equilibrato di forme, spazi, colori, all’insegna della più coerente eleganza.

Si snoda sulle pareti della sala, a cui si accede dall’angolo sud-ovest, un racconto dalle valenze simbolico-allegoriche in cui trovano spazio elementi che rimandano al tema del cibo attraverso la rappresentazione del lavoro nei campi o il dorato miele dei favi. Un testo prezioso, che si colloca nel filone di ascendenza secessionista e che prefigura lo sviluppo del linguaggio Déco specifico degli anni Venti.

Risalgono al 1913 gli interventi di sistemazione e ampliamento della sede della Cassa di Risparmio di Parma su progetto dell’ingegner Cesare Nava e dell’architetto milanese Luigi Broggi, autore peraltro di grandi complessi finanziari come i palazzi della Borsa e della Banca d’Italia nel capoluogo lombardo.

Fu l’Onorevole Cornelio Guerci, Consigliere dell’Istituto, a coinvolgere Amedeo Bocchi chiedendogli di predisporre alcuni bozzetti per la decorazione pittorica della nuova Sala del Consiglio. Il committente – che formalizzò l’incarico il 15 gennaio 1915 – si limitò a suggerire i temi simbolici da sviluppare sulle pareti, lasciando all’artista ampia libertà d’esecuzione.

«Vedete, disse, ci sono tre pareti da decorare. La quarta è occupata interamente dalle finestre; in una rappresenterei la “Cassa” sotto l’aspetto di un fiume d’oro e il popolo che porta i suoi risparmi ad aumentare questo fiume. Nella seconda la “Protezione”, nella terza la “Ricchezza”. Non disse in che modo, ma solo, fate quello che vi pare e fatemi vedere presto qualche cosa»[1].

Così ricorda il pittore in una sua memoria autografa, datata 14 ottobre 1973, in cui ricostruiva la storia della sala con quella precisione puntigliosa che era propria del suo carattere di uomo e di artista.

«Mi misi subito a scarabocchiare fogli di carta cercando di dare forma concreta alla sua idea. Non fu cosa semplice, alla fine per dominare meglio le proporzioni, decisi di costruire la sala in piccolo, in scala 1 a 10, una specie di scatola aperta dal lato delle finestre. La decorai come se fosse stata la sala vera. Feci la struttura architettonica con le lesene, come ora si vedono, che reggono il soffitto, non alto e che bisognava trovare il modo di rendere meno opprimente. Per questo ho ideato tre piani che, sollevati di un centimetro e mezzo sull’altro e uniti da uno smusso, prospetticamente danno l’illusione che il piano centrale sia notevolmente più alto. Feci poi a parte il bozzetto della parete del “Risparmio” completa con il motivo delle api in oro e nero tra le lesene, il mobile centrale con le due sculture in bronzo dorato e i due vasi in bucchero. Questo fu il bozzetto che presentai e che fu approvato dal Consiglio»[2].

In questa sorta di storia a ritroso, scritta nella metà degli anni Settanta, quando si stava impegnando a riportare la sala al suo aspetto originario e a riscoprire gli affreschi velati durante il periodo fascista, l’artista stesso espone la lettura iconografica dell’opera, soffermandosi inoltre a descrivere il livello tecnico-esecutivo. Aveva infatti utilizzato tutta la sua esperienza e il suo bagaglio artistico facendosi architetto e scultore, pittore e arredatore per quell’impresa unitaria in cui, affrontando il registro celebrativo, si era impegnato a lasciare un segno “non indegno” nella sua città.

Amedeo Bocchi era nato a Parma nel 1883 e si era formato alla scuola di Cècrope Barilli[3]. Trasferendosi a Roma nel 1902, frequentò corsi di nudo all’Accademia ed entrò in contatto coi pittori dell’agro pontino aperti ai temi sociali, continuando però a intrattenere stretti rapporti di amicizia e di collaborazione con gli artisti parmigiani tra cui Latino Barilli[4] e soprattutto Renato Brozzi[5]. Con lui condivise anche lo studio a Villa Strohl Fern negli anni del soggiorno romano. In quel “Parnaso” affacciato su Villa Borghese, Bocchi trovò ospitalità nel 1915 e si stabilì poi dal 1919 fino alla morte, nel 1976. Proprio nella capitale aveva esordito con un’impresa decorativa di grande respiro: nel 1911 partecipò alla realizzazione del padiglione dell’Emilia Romagna per l’esposizione etnografica per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia insieme ad un gruppo di artisti parmigiani[6].

In quella stessa esposizione Bocchi fu sedotto dalla pittura di Klimt[7] che, dopo il successo alla Biennale veneziana dell’anno precedente, presentava altri quadri de­stinati a diventare modello di ispirazione e di emulazione per pittori, da Vittorio Zecchin[8] a Galileo Chini[9], coi quali il lavoro di Bocchi trova molteplici elementi di comparazione.

A questo linguaggio Bocchi attinse per gli affreschi della Sala del Consiglio che incanta con le sue preziosità e i bagliori bizantini che trionfano nel riquadro dell’abbondanza e nelle cinque specchiature delle api e dei favi, per poi prosciugarsi sulle pareti dedicate al risparmio e al lavoro, in una dimensione ieratica e rituale.

Superfici dorate, ma anche incise, scanalate e cesellate, fanno da sfondo alle figure, poche e idealizzate sull’icona della ricchezza, dove l’abbagliante effetto musivo e lo sfondo aureo rinviano alla sintassi klimtiana tanto quanto la pioggia di fiori, metafora dei doni divini concessi all’umanità. Qui giunge l’eco delle decorazioni di Bruxelles del maestro austriaco insieme all’opera del Chini.

Alle pareti della sala vengono quindi rappresentati da Bocchi i temi del Risparmio, della Ricchezza e della Protezione.

È la figura della Speranza a introdurci al tema del Risparmio distendendo il suo ampio peplo verde, raffigurata in forme così stilizzate da contrastare col realismo dei personaggi raggruppati sui due lati. In questa processione si identifica il popolo intenzionato a contribuire con piccoli tesori individuali al gran fiume del risparmio collettivo. A compiere il rito sono personaggi reali che hanno la funzione di rappresentare la collettività di Parma. A sinistra infatti si in­dividua l’autoritratto del pittore, con la firma impressa in oro sul bavero della giacca, ma si scorgono anche i ritratti dell’amico Brozzi e del pittore Pietro Gaudenzi o del direttore della Cassa di Risparmio, Licurgo Petrella. Tra le sacerdotesse che portano i loro scrigni, la figlia del professor Petrella e la moglie di Gaudenzi hanno posato insieme a una impiegata dell’istituto bancario e a un’altra modella.

La Speranza stessa ha una fisionomia identificabile nella persona di Tilde Cavalli, suocera del pittore chiarista Renato Vernizzi[10].

Il fiume d’oro è sempre il filo conduttore di ogni sequenza, scorre con cadenza musicale e riappare in ogni pannello. Perfino nei piccoli riquadri dei favi sembra di cogliere le anse di questo serpeggiare sotterraneo.

Nella seconda parete, quella sud, Bocchi affronta il tema della Ricchezza dove raggiunge l’apice della raffinatezza e dell’eleganza nel distendersi dei tre nudi femminili, abbandonati, quasi risucchiati da fluenti e avvolgenti ali.

Qui il soggetto è realizzato “con una distesa di frumento dorato, lavorato in rilievo affinché l’oro risaltasse più evidente: da questo campo d’oro si innalzano tre nudi femminili alati che lasciano cadere fiori; a simboleggiare la bontà di Dio che dona sempre tutto, ogni bene”.

Il simbolismo è più marcato nella parete dedicata al tema della Protezione, speculare, per quanto attiene alla composizione pittorica, al pannello precedente, dove “la Cassa è simboleggiata da una grande ala stilizzata che protegge tutte le attività umane, le donne e i bambini”. Al centro del quadro una figura virile, rivisitazione di una scultura arcaica, regge le fiaccole del “Pensiero” mentre sullo sfondo una teoria di operai e braccianti agricoli allude al lavoro come strumento di elevazione umana e sociale.

A sinistra tutti i significati della protezione materna sono racchiusi nel gruppo delle donne, chine su di un fanciullo, in una sequenza dove la circolarità dell’abbraccio si trasmette nel fluire delle linee, delle braccia che si toccano, delle schiene che s’incuneano, delle mani che si sfiorano.

Progettati nel 1914, pitture e arredi risultavano in gran parte completati nel 1916. Quando infatti l’artista dovette lasciare il lavoro per indossare la divisa militare, nel l9l7, aveva ormai affrescato le pareti, disegnato i mobili e gli infissi, il pavimento e il velario del soffitto, i vasi e le sculture. Erano stati eseguiti il pavimento, le porte e il tavolo centrale con le diciotto sedie tutti in legno di acero con tarsie in ebano, ed era stato installato l’apparecchio per l’illuminazione, ma mancavano, oltre ad altri pezzi, ancora due urne in argento cesellato commissionate a Renato Brozzi.

Durante il Ventennio la sala venne trasformata, coperti gli affreschi e dispersi gli arredi. Nel 1976 lo stesso Amedeo Bocchi, pochi mesi prima di concludere la sua lunga esistenza operosa, su incarico della Cassa di Risparmio riuscì a portare a compimento la “restituzione” nelle linee originali di questo ambiente straordinario.

[1] BOCCHI A., Storia del lavoro per la decorazione della Sala del Consiglio della cassa di Risparmio di Parma, Roma, 14 ottobre 1973. Manoscritto (Archivio Cariparma).

[2] Ibidem.

[3] Cecrope Barilli (1839-1911) pittore e insegnante, allievo di Francesco Scaramuzza, decora alcune sale del Quirinale, l’aula del Senato, il Ministero delle Finanze. Accademico a Parma nel 1872 diviene direttore dell’Istituto d’Arte di Parma.

[4] Latino Barilli (1883-1961) pittore e insegnante, figlio di Cecrope. Nel 1911 ricostruisce con Brozzi e de Strobel la camera d’oro del castello di Torrechiara per l’Esposizione Etnografica di Roma. Affresca numerose chiese di Parma e provincia, l’abside della Basilica del Santo a Padova, l’Aula Magna dell’Università di Parma. Insegna “figura” all’Istituto d’Arte di Parma dal 1939 al 1956.

[5] Renato Brozzi (1885-1963) scultore, disegnatore e incisore di Traversetolo (PR). Diviene l’”animali ere” di Gabriele D’Annunzio e realizza numerose suppellettili per il Vittoriale e diversi monumenti ai Caduti della Prima Guerra mondiale. Un museo a lui dedicato con la ricostruzione del suo studio e tutti i suoi gessi è allestito a Traversetolo.

[6] Latino Barilli, Renato Brozzi, Daniele de Strobel assieme all’architetto Lamberto Cusani, i più significativi tra gli esponenti della cultura liberty a Parma

[7] Gustav Klimt (1862-1918) pittore austriaco, uno dei massimi esponenti della Secessione Viennese, autore di opere caratterizzate dalla profusione dell’oro, ispirato ai mosaici ravennati e bizantini, dalla spiccata bidimensionalità, dall’impiego di pregnanti simbolismi e dalla prevalenza di figure femminili.

[8] Vittorio Zecchin (1878-1947) pittore, decoratore, figlio di un tecnico vetraio di Murano, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Insofferente verso la cultura verista tardo ottocentesca che qui incontra, si sente piuttosto attratto dagli stimoli offerti dalle Biennali veneziane che frequenta entrando in contatto con le ricerche simboliste e l’ambiente della secessione viennese.

[9] Galileo Chini (1873-1956) pittore, decoratore, ceramista, cartellonista, scenografo nato e morto a Firenze. Fonda, con il fratello, la manifattura “L’arte della ceramica” di Borgo San Lorenzo che si impone per la produzione di oggetti straordinari. Rappresenta la stagione del Modernismo italiano è un protagonista indiscusso a Salsomaggiore e contribuisce alla creazione delle atmosfere della città termale. Dal 1920 al 1929 opera alle Terme Berzieri, al Grand Hote des Thermes, a Villa Fonio, al Poggio Diana.

[10] Renato Vernizzi (1904-1972) pittore e insegnante, nato a Parma e morto a Milano. Frequenta l’Accademia di Belle Arti della sua città, trasferitosi a Milano nel 1930 si unisce ai pittori “chiaristi”. Per molti anni è titolare della cattedra di figura all’Istituto d’arte di Parma.