La Sala del Consiglio della Camera di Commercio di Parma

Author: Marzio Dall'Acqua
Source:

Liberamente sintetizzato da La Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio, in Daniele de Strobel e la Sala Conferenze della Cassa di Risparmio a cura di U. Delsante e G. Gonizzi, in “Almanacco Parmigiano” 1996-97, Parma, PPS, 1996

In quella che un tempo era la Sala del Consiglio della Camera di Commercio, ora parte integrante della sede centrale della Cassa di Risparmio di Parma e di Piacenza (oggi Cariparma – Crédit Agricole), si apre la sala dipinta tra il 1924 ed il 1925 da Daniele de Strobel[1] (1873-1942). La decorazione è composta di grandi pannelli murali ad olio che raccontano la lavorazione del latte, con le mandrie bovine, le donne che trasportano il bianco nettare e, al fondo, un caratteristico “casello” per la produzione del formaggio Parmigiano; a fronte, la raccolta del pomodoro e una fabbrica per la trasformazione dell’oro rosso in concentrato e conserva.

La nuova sede della Camera di Commercio[2], posta allora in strada alla Corte d’Appello ora via Cavestro, al cui interno si trova l’opera di De Strobel, fu inaugurata nella ricorrenza della Festa della Vittoria, il 4 novembre 1925 alla presenza di numerose autorità. Dalla cronaca dell’epoca riportata dalla Gazzetta di Parma, arrivano le dichiarazioni di Gibellini, commissario governativo della Camera di Commercio: «Il palazzo che oggi ho l’onore di inaugurare rappresenta nella parte architettonica, dovuta all’ingegner Provinciali e all’architetto Mora, nei pregevolissimi dettagli artistici, ai pittori professori de Strobel e Carmignani, nei magnifici affreschi al professor Baratta,…» Nello stesso discorso entra nella descrizione interessante del tessuto economico locale: «si consideri che attualmente la produzione annua della industria casearia raggiunge 170.000 quintali di formaggio e venti mila quintali di burro; che l’industria delle conserve alimentari ha superato i 200.000 quintali di estratto di pomodoro, e che altre numerosissime industrie importanti, mulini, pastifici, fabbriche di concimi, fornaci, fabbriche di profumi, centrali elettriche, calzaturifici ecc. sono sorte e sorgono continuamente ad accrescere e ad affermare la produzione elevata e la ricchezza della nostra provincia».

Sinteticamente si può ricordare che nell’Ottocento se si erano rotti irrimediabilmente gli equilibri della società rurale, con la definitiva formazione del bracciantato agricolo, con l’insorgenza della conflittualità di classe, con la nascita di organizzazioni politiche e sindacali volte a rappresentare quello stesso proletariato agricolo, si erano gettate anche le basi di una nuova rinascita dell’agricoltura con la creazione di una nuova imprenditoria agraria, con la riconversione tecnica di diversi settori di più vecchia possidenza, anche aristocratica, con l’affermarsi del ruolo dei tecnici agrari, di maggiori legami col credito e dell’aprirsi alla innovazione tecnico-culturale. Parma ed il suo territorio furono un laboratorio ideale per questo modo originale di superare la crisi agricola, tutto basato sull’intreccio agro-industriale. La produzione granaria si contrae rispetto alla introduzione delle sarchiate da rinnovo (bietola e pomodoro), alla specializzazione lattifera e alla crescita dell’industria di trasformazione del latte, del pomodoro e delle carni. «All’interno di questa realtà si formano e crescono alcune tipiche figure di agricoltori che investendo nell’industria di trasformazione (salumaria, casearia, conserviera) e nell’edilizia, diventano essi stessi industriali e commercianti, acquistando capacità tecniche e qualità imprenditoriali fino ad allora sconosciute al ceto agrario. In primo luogo l’attitudine a diversificare il rischio, spostando di volta in volta, con notevole mobilità, i capitali dall’agricoltura all’industria, dai comparti industriali in crisi a quelli in espansione. In secondo luogo essi stessi diventarono, per così dire, un avamposto della campagna nella città, degli interessi agrari fra quelli industriali e commerciali»[3] . Era questo fitto tessuto che la sala del Consiglio, negli affreschi di Daniele de Strobel doveva sintetizzare e, magari simbolicamente, riassumere iconograficamente.

Nella sala, ubicata al primo piano dell’edificio, la decorazione è ottenuta con pannelli dipinti ad olio magro su tela e quindi incollati al muro, che dimostrano la grande padronanza di Daniele de Strobel nell’eseguire con rapidità ed effetto opere di grande formato. I pannelli della parete occidentale sono due: il maggiore (m. 7,95 per 3,40 di altezza) rappresenta il trasporto del latte e mostra vacche ricondotte a casa dal mercato da un contadino che ne tiene una per un corno, brandendo il pungolo con il braccio alzato, mentre tre contadine attraversano un ponticello portando in equilibrio sulle spalle ed in mano secchi di latte. In primo piano tre oche starnazzanti fuggono. Le mucche hanno decorazioni che richiamano antichi usi sacrali poste sia tra le corna che sul dorso; il minore ( m. 1,71 per 3,40 altezza) raffigura una casa colonica con torretta per i piccioni e con un tipico edificio circolare affiancato per servire da caseificio, in primo piano una vasca per abbeveraggio, mentre una coppia di piccioni si posa sul ramo di un albero. L’ora è quella del tramonto e la stagione, come dimostrano i ricchi grappoli di uva non ancora colti e le foglie rossicce ed ingiallite, è quella dell’autunno. «Nihil est agricoltura melius» recita nel fregio il motto che commenta la scena.

La parete di fronte, a Est, racchiude una unica sequenza, la raccolta del pomodoro, divisa in quattro parti per la presenza di tre alte finestre. La misura complessiva è di m. 13,11 per m. 3,40 d’altezza. Il primo pannello (m. 0,82 larghezza), partendo da destra, per l’osservatore, rappresenta una pianta di granoturco con pannocchie ormai mature che emerge tra piantine di pomodori, con frutti rossi e verdi. Segue l’immagine (m. 2,12 di larghezza) di due contadine, una inginocchiata e l’altra in piedi, intente a raccogliere i pomodori; il terzo pannello (m.2,10) presenta un gruppo di tre figure: una contadina con un cesto in testa e un giovane contadino con una compagna che trasportano un’altra cesta appesa ad un bastone che sostengono sulle spalle. Con i pomodori raccolti si avviano verso un paese pedecollinare che compare sullo sfondo.L’ultima scena raffigura due cavalli da tiro bardati; uno, stanco, posa sulla schiena del vicino il muso; in primo piano una cesta dalla quale si riversa una cascata di pomodori e sullo sfondo l’alta ciminiera fumante di una fabbrica di concentrato del rosso frutto. «Non omnis fert omnia tellus» è il motto che commenta queste immagini in sequenza. La stagione è quella dell’estate avanzata e l’ora è quella chiara e lumimosamente rosata del mattino che viene riscaldando l’aria. Le pareti meridionale e settentrionale hanno entrambe due porte per lato, per cui decorata è solo la parte centrale. La parete a Sud contiene un ovale (diametro massimo m. 2,35, diametro minimo m. 1,90) con la figura di Vittorio Emanuele III a cavallo, circondata da una corona di alloro. E’ l’immagine del re soldato che la retorica della prima guerra mondiale aveva consacrata, come dimostra l’elmo con gli emblemi sabaudi posto sulla sella e lo svolazzante mantello turchino. Il motto latino: «Amor patriae – fides et labor». La corrispondente parete a Nord raffigura la statua marmorea di Mercurio, nella quale è evidente la citazione iconografica della celebre scultura del Giambologna, che prende slancio da un capitello ionico, a rappresentare il commercio. Alle sue spalle vele di barche e, tra le sartìe, gabbiani dalle ali spiegate plananti. Il motto latino ripreso dal “De Officiis” di Cicerone: «Mercatura multa undique apportans».

Tutti i pannelli sono riquadrati da festoni di straordinaria fantasia e tra loro assolutamente diversi opera di Giuseppe Carmignani. In alto i festoni di fronde di quercia sono legati da nastri roseo-violacei e tenuti da cestelli dorati. Ai lati pendono, appesi alle corna di bucrani di montone, festoni di frutta e foglie; alla base è teso un cordone di foglie di magnolia. Sopra ogni porta, entro nicchie ellittiche, dipinte a chiaroscuro a tempera sono raffigurati antichi vasi ed anfore di rame (m. 1,20 per 1,50), anch’essi di Giuseppe Carmignani, posti a fingere l’indefinibile colore degli stucchi antichi. Dello stesso artista è il soffitto.

[1] L’incarico gli fu affidato il 9 agosto 1924 contestualmente al coinvolgimento di Giuseppe Carminati che intervenne nelle decorazioni della stessa sala.

[2] Qui vi rimase fino al 1965 quando si trasferì nella nuova sede di via Verdi.

[3] Salvatore Adorno, Parmigiano e conserva di pomodoro: l’Associazione agraria di Parma tra produttori e trasformatori (1900-1915), Torino, Rosemberg & Sellier, 1987.