Il Palazzo della Pilotta custodisce anche la ricchissima Biblioteca Palatina, inaugurata nel 1769, al cui interno sono raccolti pregevoli manoscritti di gastronomia (una copia de Li quatro banchetti del cuoco di Corte Carlo Nascia, il manoscritto originale di Piciol lume di cucina dettato da Antonio Maria Dalli nel 1701 entrambi trascritti dal copista Carlo Giovanelli), opere a stampa di Vincenzo Agnoletti, cuoco alla Corte di Maria Luigia e, di estremo interesse storico, i pregevoli disegni originali[1] per una serie di piatti da tavola progettati nel 1639 per Odoardo Farnese (1612-1640) in vista di un pranzo[2] con i Cardinali Antonio e Francesco Barberini a Roma.
I cardinali Barberini – nipoti di Urbano VIII, al secolo Matteo Barberini (1568-1644), laboriosi e infaticabili come le emblematiche api del loro stemma di famiglia che compare riprodotto nei piatti significativamente intrecciato ai gigli farnesiani, tramavano per impadronirsi del Ducato di Castro (feudo retto dai Farnese e situato in una piccola fascia territoriale dell’attuale Lazio, dal mar Tirreno a lago di Bolsena, a ridosso della Toscana) e per suggellare con un matrimonio l’unione coi Farnese. Il duca Odoardo, che aveva mostrato una conciliante disponibilità nei loro confronti, venuto a conoscenza delle loro vere intenzioni, non aveva indugiato a rompere ogni trattativa, allontanandosi da Roma il 22 gennaio 1640 per difendere il feudo laziale, mandando a monte il progettato banchetto, di cui rimangono oggi un centinaio di disegni, molti dei quali acquerellati, che ci mostrano il gusto per l’estetica della tavola del XVII secolo[3].
La famiglia Farnese governò il Ducato di Parma e Piacenza tra il XVI e il XVIII secolo lasciando un segno indelebile nella storia, nella cultura e nell’economia della città che sin dall’epoca era legata alla produzione agroalimentare e all’arte gastronomica. Oltre ad incrementare la produzione agricola locale e proteggere le produzioni tipiche destinate alla loro mensa – risale al 1612 la prima norma di denominazione del formaggio Parmigiano[4] – i Farnese presentano una serie di contatti culinari e culturali importanti: la vicinanza della Corte papale, la presenza di cuochi e ricettari di altri Paesi, per esempio del Portogallo[5], delle Fiandre, della Germania[6]. Straordinari momenti di magnificenza della gastronomia farnesiana sono i banchetti approntati per le nozze dei Duchi[7]: Odoardo con Margherita de’ Medici nel 1628; Odoardo II con Dorotea Sofia di Neuburg nel 1690; Elisabetta Farnese con Filippo V di Spagna nel 1714; Antonio con Enrichetta d’Este nel 1728.
Anche la trattatistica dell’epoca mostrerà un percorso evolutivo che condurrà i fasti barocchi ad uno stile più sobrio, quasi una anticipazione di quei gusti borghesi che si verranno affermando nella seconda metà del Settecento. Sono da ricordare qui Vincenzo Cervio[8] col suo Trinciante, completato da Reale Fusoritto; Carlo Nascia[9] che scriverà Li Quattro banchetti tra il 1680 ed il 1684; Antonio Maria Dalli[10] ed il Piciol Lume di Cucina del 1701. In onore dei Duchi, che avevano una vera passione per la tavola, tanto da commissionare anche la realizzazione di uno stupefacente servizio di piatti[11], vennero inventate o denominate molte preparazioni. Troviamo così le Uova alla Farnese (tortellini di pasta con ripieno di cipolle, fegatini di pollo e funghi porcini di Borgotaro[12], su cui si servono uova bollite, coperte di salsa bernese), una Minestra alla duchessa Farnese (zuppa alla crema di riso con gnocchetti di pollo e punte di asparagi), un Filetto di bue alla Duchessa (lombo di bue piccato, con tartufi neri di Fragno[13], cipolline e gnocchetti di cervella), e un Tacchino alla Farnese al forno, servito con lingua, fagioli e cetrioli all’umido.
(Palermo, XVII sec., seconda metà – Palermo, XVIII sec., inizi)
Originario di Palermo, compare nei registri farnesiani come cuoco secreto nell’agosto del 1659, ma lavorava a Corte già da quattro mesi con lo stipendio di 79 lire parmensi al mese. Non sappiamo con certezza quando lasciò la corte farnesiana, ma di sicuro lavorava ancora nelle cucine del Ducato nel 1672, anno in cui figura nei registri delle spese, oggi conservate presso l’Archivio di Stato di Parma. Dal suo manoscritto, datato 8 luglio 1680 Li quattro banchetti, si desume che avesse lavorato presso la corte dei Viceré spagnoli a Milano. Non se ne conosce la data di morte, situabile, ragionevolmente, agli inizi del Settecento.
La Biblioteca Palatina di Parma possiede uno dei tre manoscritti originali conosciuti della sua opera, datati fra il 1680 ed il 1684. L’edizione più completa, quella del 1684, è dedicata ai Principi Meli Lupi di Soragna.
Li quattro banchetti è un ricettario di corte che segue l’ordine naturale delle stagioni. Dopo una breve introduzione sull’importanza dell’igiene in cucina e l’avvertenza di non mettere i cibi da conservare in recipienti di rame, ma in quelli di ceramica, l’autore propone per ogni stagione una terna di piatti (freddi, caldi, arrosti). Le vivande sono perlopiù composte con prodotti di stagione per l’inverno, al posto dei piatti freddi e caldi, il cuoco propone tre piatti di potacchi, tre di arrosti e tre di frutta candita intervallati da nove asiere (tramezzi). Seguono varie ricette divise in banchetti grassi, validi per la maggior parte dell’anno e banchetti magri in uso durante la Quaresima e le vigilie. Per ogni alimento dà l’indicazione del miglior modo di cucinarlo e una ricetta. La parte che tratta dei sapori è copiata dal trattato di Bartolomeo Stefani.
Incuriosiscono la ricetta di un tipo di couscous e la polvere di corna di cervo usata per rassodare la gelatina.
Il Nascia cita il prosciutto, il salame ed il Parmigiano. Le ricette non separano gli ingredienti dalla preparazione e si intendono per un gran numero di convitati. Diversi ingredienti oggi risultano di difficile reperibilità.
Tra le ricette parmigiane l’autore cita gli Anolini, ma non quelli tradizionali, e le Frittelle di vento (Torta fritta).
Esperto nel creare sculture di zucchero per i centro tavola o aquile e gigli per guarnire i piatti, Nascia era libero di preparare i più sontuosi pranzi, assecondando così i desideri del Duca.
Dell’opera è stata realizzata edizione critica e anastatica:
NASCIA, Carlo. Li quatro banchetti destinati per le quatro stagioni dell’anno. Prefazione e note di Massimo Alberini. Bologna, Forni, 1981, 2 voll.
(Bologna, XVII sec., seconda metà – Bologna, 31 luglio 1710)
Con ogni probabilità di origini bolognesi, non se ne conosce la data di nascita. Il suo nome compare nei registri della Corte farnesiana a Parma per la prima volta nel 1692 con l’incarico di pasticciere e cuoco nella cucina secreta. Nel gennaio del 1694 rinuncia al ruolo di pasticciere ma nell’aprile del 1696 firma un accordo per rifornire la Corte di biscotti.
Nel 1703, preso da una irresistibile vocazione religiosa, si fa monaco fra gli Eremitani dell’Ordine di Sant’Agostino nel convento di San Luca a Parma. Si trasferisce alla sua Bologna nel convento di San Giacomo, dove si spegne il 31 luglio 1710.
La Biblioteca Palatina di Parma possiede il manoscritto originale di Piciol lume di cucina dettato dall’autore nel 1701 e scritto dal copista Carlo Giovanelli.
L’opera, secondo i dettami dell’epoca, inizia con una dedica al suo Duca, prosegue con alcune nozioni di igiene da usarsi in cucina, rivoluzionarie a quei tempi, e conclude riportando delle ricette. Queste seguono l’andamento di un pasto completo dai primi ai dolci. Il testo delle ricette non separa gli ingredienti dalla preparazione e l’esecuzione è spiegata fin nei minimi dettagli. Il dosaggio per commensali varia dai grandi banchetti ai pranzi ordinari. Gli ingredienti sono reperibili con facilità anche se qualche ricetta è poco adatta ai palati odierni. Delle ricette tipiche di Parma cita gli Anolini, le Frittelle di vento (Torta fritta) e il Prosciutto. Curiosamente usa più il formaggio Lodigiano che il Parmigiano.
Dell’opera sono state pubblicate due edizioni:
DALLI, A. M., Piciol lume di cucina, a cura di M. Dall’Acqua con la collaborazione di M. M. Ghini, prefazione di G. Cortesi, introduzione di A. Zanlari. Parma, Antigraphus, 1987, 155 pp., ill. Con riproduzione anastatica del testo originale.
DALLI, A. M., Piciol lume di cucina, a cura di M. Dall’Acqua. Colorno (PR), Tielleci, 2005.
[1] Disegni de’ piatti, “lavoro fatto avanti il 1640” (Ms. Parm. 3712) pervenuti in dono alla Biblioteca Ducale di Parma, oggi Palatina, nel giugno del 1850
[2] “per l’occasione se il Ser.mo sig. Duca [Odoardo Farnese (1612-1646)] dava da desinare alli sig. cardinalli Barbarini [Antonio il giovane (1607-1671) e Francesco (1597-1679)] in Roma l’anno 1639” a Palazzo Farnese, come riportato nelle annotazioni a c. 58 del manoscritto
[3] Restaurati nel 1992 dal Ministero per i Beni Culturali – con il fortunoso recupero di quattro disegni sconosciuti utilizzati a strisce per rinforzare gli altri – i piatti farnesiani sono stati oggetto di studio in due differenti pubblicazioni, la prima in ordine temporale che presenta il corpus inquadrandolo nel contesto storico e gastronomico dell’epoca, la seconda, stilata dalla curatrice del restauro, che rettifica alcune informazioni sulla stregua del restauro e ne presenta i principali risultati a fianco della schedatura archivistica dell’importante fondo: Dall’Acqua M., I gigli e le api. Saggio di disegni farnesiani inediti per un servizio da tavola in età barocca, in Nel segno del giglio. Ceramiche per i Farnese, a cura di R. Luzi e C. Ravanelli Guidotti, Viterbo, Faul, 1993, pp. 81-100; Gorreri S., Disegni di piatti farnesiani: storia di un recupero, in I segni del potere. I Farnese nei documenti della Biblioteca Palatina, a cura di L. Bedulli, Parma, Silva, 1995, pp. 154-160.
[4] Per tutelare commercialmente il Parmigiano dagli altri formaggi similari come il Piacentino ed il Lodigiano che, nelle diverse città italiane ed estere, erano confuse con quello di Parma, il duca Ranuccio I Farnese, o meglio il suo tesoriere, Bartolomeo Riva, decise di ufficializzarne la denominazione. Il 7 agosto 1612, data che segna l’inizio della storia della Denominazione d’Origine, oggi riconosciuta in sede europea, il notaio della Camera ducale stilò un atto in cui si delimitava e definiva l’area di produzione del formaggio di Parma: “alle cassine delli infrascritti luoghi, cioè, del Cornocchio, di Fontevivo, di Madregolo, di Noceto et di simili luochi circonvicini alla medesima città di Parma” (Parma, Archivio di Stato, Notai cam. di Parma, b. 256). Cfr. Dall’Acqua M., Nasce nel 1616 [sic, ma: 1612] il controllo d’origine per il parmigiano, in “Gazzetta di Parma”, 10 ottobre 1977. Si veda anche, in questo testo, il capitolo 3. I prodotti tipici di qualità e la loro storia – 3.2. Il formaggio Parmigiano Reggiano.
[5] Cfr. Bertini G., Il “livro de cozinha” di Maria del Portogallo e la cucina di Corte a Bruxelles e a Lisbona al tempo delle sue nozze con Alessandro Farnese, in La cucina rinascimentale di Corte nel triangolo padano: Parma – Ferrara – Mantova, Roma, Accademia Italiana della Cucina, 1995, pp. 26-35.
[6] Cfr. Zanlari A., A tavola con i Farnese. Dai ricettari rinascimentali ai prodotti tipici di Parma, Parma, PPS, 1996.
[7] I favolosi festeggiamenti per le nozze del duca Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici, celebratisi a Parma il 9 dicembre 1628, sono descritti minuziosamente in Buttigli M., Descrizione dell’Apparato fatto per honorare la prima e solenne entrata in Parma della Serenissima Principessa Margherita di Toscana, Duchessa di Parma, Parma, Seth ed Erasmo Viotti, 1629.
[8] Cervio V., Il Trinciante di m. Vincenzo Cervio, ampliato, et ridotto a perfettione dal cauallier reale Fusoritto da Narni…, in Venetia, appresso gli heredi di Francesco Tramezini, 1581.
[9] Carlo Nascia (Palermo, XVII sec., seconda metà – Palermo, XVIII sec., inizi), originario di Palermo, compare nei registri farnesiani come cuoco secreto del Duca nell’agosto del 1659, ma lavorava a Corte già da quattro mesi con lo stipendio di 79 Lire parmensi al mese.
[10] Antonio Maria Dalli (Bologna, XVII sec., seconda metà – Bologna, 31 luglio 1710), con ogni probabilità di origini bolognesi, non se ne conosce la data di nascita. Il suo nome compare nei registri della Corte farnesiana a Parma per la prima volta nel 1692 con l’incarico di pasticciere e cuoco nella cucina secreta.
[11] La splendida serie di Disegni de’ piatti, “lavoro fatto avanti il 1640” per il banchetto con i Cardinali Barberini di cui sopra.
[12] La conoscenza ed il consumo dei funghi porcini, della famiglia dei Boletus, nel territorio Borgotarese è antica e apprezzata fin da tempi piuttosto remoti. Se ne trova traccia in un documento scritto da Alberto Clemente Cassio (1669-1760) canonico Pontificio.
[13] Noto da epoche remotissime, il tartufo è documentato per la prima volta nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (I sec. d. C.) e nel contemporaneo De re coquinaria di Apicio, in cui compaiono diverse ricette che prevedono il suo impiego.