I dodici mesi antelamici del Battistero di Parma

Author: Chiara Frugoni
Source:

C. FRUGONI, La decorazione plastica. Il programma del complesso antelamico, in Battistero di Parma, Tomo I, Franco Maria Ricci per Cassa di Risparmio, 1992, pp. 149-150

L’anno doveva cominciare da Marzo, corredato del proprio segno zodiacale, l’Ariete; e non sarà inopportuno ricordare che con marzo inizia anche l’analoga serie dei Mesi sull’archivolto del portale centrale della vicinissima cattedrale.

Si comincia con la Primavera, in corrispondenza e sopra l’altar maggiore, con i tratti non dissimili dalla Regina di Saba dell’esterno, mentre si tiene il mantello che il vento di marzo pare sollevare. Marzo, corno e capelli arricciati, è l’incarnazione dei vortici; il segno è murato sotto.

Aprile, incoronato, tiene lo scettro come un re, e nell’altra mano un fiore col gesto che ricorda la poco distante Primavera (i frutti saranno forse datteri o piuttosto olive a ricordo del tempo pasquale?). In posizione frontale (che nel ciclo condivide solo con Inverno e Gennaio) ci fa vedere uscire di scena i personaggi umili dei contadini al lavoro, a vantaggio d’una figura di classe elevata: quasi che i mesi del riposo della natura non fossero del tutto leciti alle classi lavoratrici, non essendo più del tutto adatti a simbolizzare l’equazione dottrinale lavoro redenzione che vedemmo in essi fortemente attiva.

Maggio è un cavaliere a cavallo con il falcetto in mano che gli servirà a tagliare foraggio per il suo cavallo, durante il viaggio che lo porterà al “campo di maggio”[1]. Una miniatura del Sachsenspiegel (un testo giuridico della prima metà del XIII secolo) ci chiarisce perché proprio quell’attrezzo funzioni da attributo: è concesso mietere il grano altrui per il proprio cavallo per la profondità d’un passo dal ciglio della strada. Doveva seguire l’Estate, mancante.

A Giugno un contadino miete; a Luglio un giovane “batte” il grano sull’aia facendolo calpestare dai cavalli (una tecnica questa – in sostituzione del colpo di correggiato da parte degli operai sul mucchio delle spighe – realmente esistente ma, per quanto concerne l’uso iconografico, innovazione antelamica che altri ripresero scolpendo i Mesi delle cattedrali di Cremona e di Ferrara).

Ad Agosto inizia la vendemmia: un giovane serra le doghe delle botti per il vino d’Autunno (stagione anch’essa mancante). In Settembre un uomo con il capo riparato da una cuffia raccoglie i grappoli e li getta nel tino, subito sotto il segno della Bilancia; l’anno declina e Ottobre è un vecchio dignitoso che sparge dal mantello i semi del grano; sulla quercia di fondo (è il tempo che i maiali ricercano le ghiande) si staglia lo Scorpione.

Anche Novembre è un uomo maturo che cava le rape da terra, sopra la testa il Sagittario, simbolo del segno zodiacale e allusione alla caccia.

Segue l’Inverno, un vecchio dalla lunga barba, metà vestito e metà nudo per indicare il nesso fra il sonno e il risveglio della natura (l’ambiguità riguarda anche i due volti di Gennaio che segna la fine e l’inizio del ciclo).

A Dicembre un contadino fa provvista di legna. A Febbraio un altro spezza le zolle ancora dure, e sopra due pesci, simbolo del segno, alludono anche all’attività della pesca.

La collocazione per così dire “aerea” del ciclo dei Mesi mi pare rafforzata ora che è stato enfatizzato il contenuto della cupola come una Gerusalemme celeste[2]: alla conclusione dell’Apocalisse si disegna lo spettacolo della città santa che si trasforma nella sede del regno eterno e della vita beata in termini per noi suggestivi. I simboli del nuovo Eden sono “il fiume dell’acqua della vita [ … ] che sgorga dal trono di Dio e dell’agnello” e “l’albero della vita che fa dodici frutti producendo il suo frutto per ogni mese [ … ] nessuna maledizione vi sarà più” (22.1-3). È evidente che all’interno del battistero quell’acqua è la benedizione del battesimo, e immaginando le lastre antelamiche immediatamente sotto la Gerusalemme celeste possiamo intenderle come la stupenda corona di frutti di cui parla il testo biblico.

Quasi che il lavoro dei campi fosse tornato alle felici prerogative che aveva in un angolo di paradiso terrestre, quando Dio vi condusse Adamo ut operaretur et custodiret illum (Gen., 2.15)~ quel lavoro perde, qui a Parma, i connotati punitivi con cui Dio l’aveva imposto ad Adamo dopo la caduta.

[1] L’antica consuetudine del Campo di marzo, il tradizionale Raduno dell’armata franca, già nel 755 era stato spostato in maggio, probabilmente perché il numero dei cavalieri era divenuto così grande da rendere necessario più foraggio di quanto non fosse disponibile in marzo: mutaverunt Martis campum in mense maio: L. White, Tecnica e società nel Medioevo, Il Saggiatore, Milano 1964, pp. 53 e segg.

 

[2] A. BIANCHI, Il ciclo pittorico del Battistero di Parma: la cupola, Abramo, Giovanni Battista, i Profeti, la Gerusalemme celeste, in “Felix Ravenna” (1986), Edizioni del Girasole, Ravenna 1987.